giovedì 7 aprile 2022

In letteratura

Già Virgilio dedica un intero poema, Le Georgiche, alla natura agreste, impegnandosi nel primo libro «ad insegnar pietoso | a l’inesperto agricoltor la via». Perché
 
Ma pria d’aprire in campo ignoto un solco,
De le stagioni la temperie, e i venti
Con occhio istrutto esaminar dovrai,
E il culto antico e l’indole natia
D’ogni terra indagar, e qual ciascuna
Vario seme e lavor soffra, o ricusi.

E leggendo le sue parole, sembra quasi di trovarsi di fronte ad un moderno manuale di tecniche agricole rigenerative, che si stanno diffondendo al posto dei metodi tradizionali basati su fertilizzanti e pesticidi chimici, e che ironicamente chiamiamo "innovative".
 
L’arida estate a lungo sol maturi:
Ma se sterile ei sia, basta che un lieve
Solco lo sfiori al ritornar d’Arturo;
Onde nè in quel la rigogliosa messe
Spuntino l’erbe a soffocar, nè in questo
Lo scarso umor che chiude in sen, svapori.
Quel campo poi, che avrai mietuto, un anno
Riposar lascia, onde ne l’ozio acquisti
Vigor novello; o almen dove raccolto
Fai di legume le tremanti teghe,
O la minuta veccia, o i frali gambi,
Stridula selva, del lupino amaro,
Ivi al venir de la stagion novella
Semina invece il biondeggiante farro.
I campi isterilisce, e il tinto in Lete
Sonnacchioso papavero li aduggia.
Pur questi ancor, se alternerai, ti fia
Facile il coltivar, sol che di pingue
Letame satollar l’arida terra
Tu non isdegni, e cenere fecondo
Spargere a larga man sui campi esausti.
Così la terra variando i semi
Vigor non perde, e in non arato campo
Con larga usura anch’ei l’ozio compensa.

[Puoi leggere qui l'intero poema]

Anche Giovanni Pascoli dedica un intero ciclo di poesie ai lavori agricoli, intitolato La mietitura, di cui ne riporto alcune. 

Giovanni Pascoli, Tra le spighe

I
Il grano biondo sussurrava al vento.
Qualche fior rosso, qualche fior celeste,
tra i gambi secchi sorridea contento.
Pendeano li agli e le cipolle in reste.
S'udian, mutata alfin la voce in gola,
cantar galletti, altieri delle creste.
Tessea le spighe dello spigo a spola
la cara madre, per i suoi rotelli
del banco grande e per le sue lenzuola.
Fioria la zucca, arsivano i piselli,
nell'orto. Le ciliegie erano andate:
per San Giovanni avevano i giannelli.
C'erano già le mele dell'estate,
c'erano le susine di San Pietro.
Fatte via via più lunghe le giornate,
il sole, stanco, ritornava indietro.

II
E biondo al vento mormorava il grano.
Fiorivano le snelle spadacciole
tra i gambi gialli; e non sapean, che in vano.
C'era un bisbiglio come di parole.
E l'intendea la lodola che in tanto
aveva lì la giovinetta prole.
Tardi avea fatto il nido, lì da un canto.
Oh! ella amava il sole più che il nido!
Chissà? voleva far lassù, col canto!
Or sui piccini udiva già lo strido
della falciola; e li ammonìa di stare
accovacciati senza dare un grido.
Diceva: - Chiotte, contro terra, o care!
che non si mova un bruscolo, uno stelo!
V'ho fatte color terra: altro non pare,
così, che terra, o nate per il cielo!

III
E il grano al vento strepitava; e disse
il padre al figlio: «Mieteremo. Vedi:
verdino è, sì, ma non vorrei patisse.
Ché il grano dice: - Io sto ritto, e tu siedi.
Qui temo l'acqua, e il vento mi dà briga.
Altronde, o presto o tardi, o steso o in piedi,
se il gambo è secco seccherà la spiga -.

Giovanni Pascoli, E lavoro

I
E il grano è bello. Ma non fu soltanto
la terra e il cielo, fu la nostra mano.
Chi prega è santo, ma chi fa, più santo.
E prima scelsi il seme del mio grano
tra il grano mio. Grani più duri e grossi
o più gentili non cercai lontano.
Altri grani, altre terre, ed altri fossi
ed altri conci. Il grano da sementa
non lo tribbiai né macchinai, ma scossi.
Quando fu tempo, presi calce, spenta
da me, non vecchia; tal che, non appena
l'acqua la bagni, bulica e fermenta.
Ne feci latte, e in una cesta piena
v'immersi il grano, che un po' sempre molle,
quando sentii la lunga cantilena
di grilli e rane, sparsi sulle zolle.

II
Né lavorato avevo a fondo: a fondo
avevo sì, ma pel granturco d'anno.
Il grano è meglio, e però vien secondo.
Sta pago il grano a quello che gli dànno.
Vuol sì la terra trita, ma non trita
tanto, ché, anzi, gli sarebbe a danno.
Non diedi al grano, che mi dà la vita,
nemmeno il concio. Poco o nulla è chiede
per far la spiga bella e ben granita.
Gli basta un po' del troppo che si diede
al formentone, che scialacqua e, grande
com'è, non pensa al piccoletto erede.
Ad ogni acquata egli s'innalza e spande,
si sogna d'essere albero, fa vanti
e sfoggi, e vuole intorno a sé ghirlande
di zucche e di fagioli rampicanti...

III
Dov'è lasciò, grossi, pel fuoco, i gambi,
io questo grano seminai; non fitto;
e un sol governo valse per entrambi.
E visse e crebbe, pesto giallo afflitto...
Ma, or vedete: è non s'alletta e sta.
È bello. Per tenere il capo ritto
giova la cara buona povertà!

Gabriele D'Annunzio, I seminatori

Van per il campo i validi garzoni
guidando i buoi da la pacata faccia;
e, dietro quelli, fumiga la traccia
del ferro aperta alle seminagioni.
Poi, con un largo gesto delle braccia,
spargon gli adulti la semenza; e i buoni
vecchi, levando al ciel le orazioni,
pensan frutti opulenti, se a Dio piaccia.
Quasi una pia riconoscenza umana
oggi onora la Terra. Nel modesto
lume del sole, al vespero, il nivale
tempio de' monti inalzasi: una piana
canzon levano gli uomini, e nel gesto
hanno una maestà sacerdotale.



#13 ABC

A  come  amicizia
 come  banca
 come 
D  come 
 come 
 come 
 come 
H  come  hobby
I   come 
L  come 
come 
N  come  Norman Borlaug
O  come   
P  come   parole
come 
come   rivoluzione
come  sogno
T  come 
come 
come 
come 

Le piante e la mente

 


Al giorno d'oggi, la metafora più diffusa per descrivere il cervello è quella che lo paragona a un computer: la sua struttura fisica corrisponderebbe all'hardware, la mente al software.
Una simile visione ci porta spesso a interpretare i nostri processi mentali quasi fossero programmi, capaci di offrirci soluzioni semplici, rapide e lineari a ogni problema. Paragonarci a delle macchine, per quanto meravigliose e sofisticate, ci porta a travisare la nostra natura.
Sempre più spesso, invece, la psicologia e la biologia contemporanee tendono a recuperare una metafora antica ma efficace: l'idea che possiamo coltivare il nostro io più profondo, che lo si chiami mente o animo, proprio come faremmo con un giardino.
Combinando mirabilmente scienza e letteratura, psicoanalisi e racconto, indagine teorica e consigli pratici, questo libro si propone di ricordarci una verità fondamentale, che chi lavora a contatto con la natura conosce da sempre: prenderci cura di un orto o un giardino, di piante che crescono seguendo il proprio ciclo vitale, può influire in modo positivo sulla nostra salute, il nostro benessere psicologico e la nostra autostima.


Se consideriamo che pensare non è altro che la capacità di recepire stimoli dall'ambiente, elaborarli e mettere in atto strategie finalizzate ad uno scopo, allora possiamo dire che sì, le piante hanno una qualche forma di cognizione. Le piante ricordano, si muovono, decidono, si orientano e interagiscono tra loro; non solo: possono essere opportuniste, generose, truffaldine.
«Le piante hanno una cognizione sociale, riconoscono i loro parenti, mettono in atto comportamenti cooperativi. Hanno un modo di decidere avanzato e in tutti gli aspetti della cognizione le piante si manifestano come agenti cognitivi. Questo succede anche se sono diverse da noi e non hanno un cervello».
Uno sguardo insolito e affascinante nella vita segreta del mondo vegetale, molto più complesso, attivo, sensibile e a noi vicino di quanto crediamo.